17. L’ultimo viaggio
— Deloffre? Mi sente, Deloffre? — esclamò il signor Sartou tendendo la mano fuori dal finestrino.
Deloffre si fermò di colpo. Era sorpreso e infastidito da ogni cosa che lo circondava. Immobile sul marciapiede, davanti alla prigione in cui aveva trascorso gli ultimi giorni, scrutò quella mano protesa fuori dal furgoncino bianco con la scritta VIAGGI SARTOU.
Impiegò alcuni secondi per riconoscere la voce. — Ah, signor Sartou, è lei! — disse alla fine.
— Non è un bel momento, vero? — replicò l’altro aprendo la portiera.
— Direi proprio di no — brontolò Deloffre. — Meglio fuori che dentro, però! Sartou guardò distrattamente il profilo cupo della prigione, con il filo spinato che correva sopra i muri esterni e commentò: — Cose da matti.
Deloffre non disse niente.
— Ma adesso è tutto a posto, non è vero? Ho letto sul giornale...
— Sul giornale! Sono finito sul giornale! —. Deloffre scosse il capo, furibondo. — Altro che tutto a posto, signor Sartou! Il commissario mi ha detto che resto l’unico sospettato, ma che al momento non hanno abbastanza prove per trattenermi!
Tirò fuori dalla tasca un foglietto spiegazzato. — Ma lo sa? Qui c’è scritto che devo rimanere a disposizione... Che non posso lasciare la città!
— Per fortuna non abbiamo in programma altre gite, allora! — scherzò Sartou. — Suvvia, Deloffre! Sono venuto a prenderla...
— Lei è venuto a prendermi?
Nella mano di Sartou comparve una bottiglia di champagne. — E ho pensato di festeggiare la sua liberazione!
Gli occhi di Deloffre brillarono davanti alla bottiglia dorata del Philipponnat Grand Blanc de Blancs Millesimato. Si tolse il basco e si grattò la testa. — Signor Sartou, questa cosa mi confonde...
— Andiamo a casa sua, le va?
— Non so in che stato... sa, la polizia avrà messo tutto a soqquadro...
— Non ha due bicchieri e un tavolino?
Deloffre sorrise. — In effetti...
— Allora salga! Forza! Salga!
Una ventina di minuti dopo, il signor Sartou aveva parcheggiato il furgoncino nei pressi di rue Charlot.
— Poteva cercare un posto più vicino... — commentò Deloffre scendendo dal veicolo. — Dovremo camminare un po’...
— Sciocchezze! Va benissimo così. E poi... è più comodo per ripartire. Vede, Deloffre, dovrò anche lavorare, dopo...
— Signor Sartou... davvero... forse non è il caso che...
— Ne abbiamo già parlato!
Guardandosi intorno con espressione guardinga, Sartou prese sottobraccio Deloffre e lo spinse nel primo vicoletto che incontrarono. Sembrava avere una gran fretta di allontanarsi dal furgone e di raggiungere la vicina rue Charlot. Come Deloffre aveva immaginato, c’erano numerosi altri posti per parcheggiare, prima di raggiungere il palazzo in cui abitava, ma a quanto pareva Sartou non voleva correre il rischio che qualcuno notasse il suo furgone in quella zona.
Quando ebbero quasi raggiunto la casa di Deloffre, infatti, il proprietario dell’agenzia di viaggi si tirò sulla testa il cappuccio del giubbotto e disse: — Le posso chiedere una cortesia? Può controllare se c’è la portinaia? Se c’è, magari facciamo davvero un’altra volta, o più tardi... —. Poi aggiunse, a mo’ di spiegazione: — Ho un’attività, signor Deloffre, e se certa gente mettesse in giro brutte voci... fino a quando lei non sarà completamente scagionato dai sospetti... Lo sa, purtroppo, che ci vuole poco a perdere la faccia per una voce di troppo...
Deloffre annuì, cupo. — Naturalmente. Non ho alcuna intenzione di coinvolgerla in questa storia.
Entrò da solo nel suo palazzo e poco dopo segnalò che la via era libera.
I due uomini guadagnarono rapidamente le scale e salirono al quarto piano.
— Tutti questi nastri! — si lamentò Deloffre, quando arrivò davanti alla porta di casa. L’aprì ed entrò. — Come immaginavo! Un disastro!
L’appartamento di Deloffre era composto da tre camere e un bagnetto. Oltre l’ingresso c’erano una cucina, una camera da letto e un piccolo soggiorno, in cui si trovava un televisore spento appoggiato su una colonna di riviste. I cassetti erano stati aperti e il loro contenuto svuotato per terra. I libri erano sparpagliati sul pavimento. I vestiti appallottolati sul letto e sul divano.
— E poi dicono dei ladri! — si lamentò il poveruomo contemplando quello scempio.
Sartou non sembrò badarci. Scelse un bicchiere tra quelli che erano allineati accanto ai fornelli e stappò lo champagne. — Non si preoccupi! Beviamoci su!
— È sicuro di averlo aperto? Non ho sentito nemmeno il botto!
— Voleva il botto? — domandò Sartou passandogli il bicchiere.
— Va benissimo così! — esclamò il signor Deloffre accettandolo.
— Alla salute!
— Alla salute!
A molti isolati di distanza, il signor Janvier continuava a ripetere al tassista: — Non può andare più veloce? Dobbiamo arrivare al più presto in rue Charlot!
L’uomo al volante indicava la strada piena di automobili. — Lo vede anche lei com’è il traffico!
Sui sedili posteriori, Annette e Fabò erano impegnati in una furiosa serie di telefonate.
— Lalou! Dove sei?
— Dal marsigliese. E voi?
— Siamo stati dalla contessa.
— Spero che vi sia andata meglio che a me, perché...
— Lalou! Non c’è un attimo da perdere! Stiamo correndo con un taxi da Deloffre. È in pericolo!
— In pericolo?
— Sai che oggi lo rilasciavano!
— E allora?
— Abbiamo scoperto una cosa importante. C’è una persona che ha interesse a uccidere Deloffre! Che ci ha già provato due volte!
— Una persona che vuole uccidere Deloffre? E perché? Non...
— Deloffre e il suo amico Ferblantier, quello che è morto poco tempo fa, ricordi?
— Certo! Lo abbiamo trovato insieme su...
— Pensiamo che anche Ferblantier sia stato ucciso!
— Ragazzi... e perché?
— Ti spieghiamo tutto appena ci vediamo. Vai a casa di Deloffre! Presto!
Fabò chiuse la conversazione e guardò prima la sorella, poi l’avvocato Janvier, che si sporse dal sedile davanti. — Sta andando?
— Sì.
— Forse dovevi spiegargli meglio le cose — osservò sua sorella.
— A Lalou? Naaa —. Fabò le passò il cellulare. — Fai tu l’altra chiamata.
— Io? E perché?
— Magari sei più brava a spiegare le cose.
Il signor Deloffre sollevò il bicchiere, guardando le bollicine di champagne che salivano verso l’alto.
— Beva! Beva! — lo incoraggiò il proprietario dell’agenzia di viaggi.
— Lei non beve?
Sartou teneva il suo bicchiere abbassato, continuando a fissare quello di Deloffre. — Ah, sì... certo... — biascicò sollevandolo di colpo.
Deloffre abbassò invece il suo. — Lo sa che cosa mi ricorda questo champagne?
Un accenno di fastidio passò negli occhi di Sartou. — No, cosa?
— Il nostro viaggio a Biarritz. Se penso a quante cose sono cambiate da allora...
— Niente malinconie, Deloffre!
— Lei è sempre stato molto gentile con me, anche quando ero alla tipografia.
— Sì... certo... ma ora...
— Dannata scalogna. Anche Ferblantier lo diceva: «Il signor Sartou... il signor Sartou è un galantuomo» —. Deloffre sollevò il bicchiere e altrettanto fece Sartou. Appoggiò le labbra al calice e poi le staccò di colpo. — E la contessa? Che fine ha fatto la contessa?
Questa volta Sartou sembrava davvero seccato. — Cosa vuole che ne sappia della contessa?
— Aveva una figlia...
— Deloffre! Non abbiamo tutto il pomeriggio. Insomma, questo brindisi!
— Ferblantier diceva sempre della figlia: «Se avessi dieci anni di meno, le farei una corte spietata!». Ma adesso...
— Deloffre, non è di compagnia.
— Nemmeno lei! Non ha ancora bevuto!
— È lei il festeggiato!
— Già, bella festa! —. Un accenno di sorriso ravvivò comunque il volto del bretone. — Ma, sì, forse ha ragione lei...
Fece per bere e Sartou sospirò. Poi qualcuno cominciò a picchiare furiosamente contro la porta d’ingresso, facendoli sobbalzare entrambi.
— Signor Deloffre! Signor Deloffre! È in casa?
Per la sorpresa, alcune gocce di champagne uscirono dal bicchiere di Deloffre e caddero per terra. — Chi diavolo può essere?
Sartou sbuffò: — Non ne ho idea. Ma stia zitto! Forse smette.
— Non è una voce che conosco.
— Sssh!
— Signor Deloffre? Se è in casa mi apra, per favore!
— Sembrerebbe un ragazzino — osservò Deloffre, mentre lo sconosciuto continuava a picchiare contro la porta.
— È in pericolo, mi sente? Qualcuno sta cercando di ucciderla!
— Questa poi? Ma chi è?
Il volto di Sartou si raggelò di colpo. — Un folle, senza dubbio. O un mitomane. Beviamo lo champagne e aspettiamo che vada via.
Quando afferrò il bicchiere di Deloffre per porgerglielo una seconda volta, la mano di Sartou tremava.
Deloffre se ne accorse, ma interpretò male il motivo. Pensò che Sartou fosse spaventato dall’insistenza di quello sconosciuto, e quindi si affrettò a rassicurarlo. — Aspetti solo un istante, signor Sartou, che lo sistemo io, quel moccioso alla porta.
— Deloffre, no!
Ma il bretone aveva già guadagnato l’ingresso e spalancato la porta sul pianerottolo. — Non ti sei accorto che è aperta? E tu chi saresti? — domandò bruscamente al ragazzo di colore che si trovava dall’altra parte.
— Mi chiamo Lalou, signor Deloffre. E sono venuto ad avvertirla... I miei amici sostengono che lei è in pericolo di vita!
L’uomo ridacchiò, amaro. — Ah, davvero? È da quando sono nato che sono in pericolo di vita! Di’ ai tuoi amici di non perdere tempo con me. Mi avranno anche liberato, ma tra poco i poliziotti mi verranno a riprendere e tornerò in galera!
— Aspetti, signor Deloffre! Non ha capito, non la sto prendendo in giro. I miei amici stanno arrivando in taxi dalla casa della contessina Blumier!
Deloffre rizzò improvvisamente le orecchie. — E tu come fai a sapere della contessina Blumier?
— Mi ascolti, e mi faccia entrare. Loro sono convinti che anche il suo amico Ferblantier sia stato ucciso.
Sentendo il nome dell’amico Deloffre sbiancò. — Ferblantier?
— Mi lascia entrare?
Deloffre si scostò appena dalla porta, consentendo a Lalou di fare un passo avanti nel suo appartamento.
— In pratica c’è qualcuno che vi conosce entrambi che vuole... — iniziò a raccontare il ragazzo, ma non fece in tempo ad aggiungere altro.
Dalla cucina era infatti sbucato Sartou, con una pistola in mano, puntata dritta davanti a sé. — Ora basta... — disse a voce bassa.
— Signor Sartou? Che cosa sta facendo? — domandò Deloffre, interdetto.
— Oh, oh — disse invece Lalou, sentendosi congelare le ginocchia. — Forse sono arrivato troppo tardi.
— Dipende dai punti di vista... — rispose Sartou, minacciandoli tutti e due con la pistola. — Ora state zitti e fate esattamente quello che vi dico, è chiaro?
— Signor...
— ZITTI! — urlò Sartou, esasperato. — Mani in alto, e ZITTI! Mi ha fatto già dannare abbastanza, Deloffre! Non so che cosa sia successo con quella bottiglia di sidro e nemmeno come sia riuscito a evitarmi l’altro giorno con la macchina, ma ora voglio essere sicuro di terminare questa faccenda!
— Faccia come dice... — consigliò Lalou entrando in cucina.
Deloffre lo seguì.
Sartou indicò loro i bicchieri di champagne. — Prendete quelli.
— Come?
— Prendete i bicchieri! E bevete! Tutti e due!
Lalou guardò il signor Deloffre. — Non credo che sia semplice champagne, signor Deloffre.
— Basta chiacchiere! Bevete! — urlò Sartou alzando la canna nera e minacciosa della pistola.
— Lo farei volentieri... — rispose Lalou con grande sangue freddo. — Ma il problema è che io non bevo alcolici, signore. Potrebbe avvelenarmi qualcosa di diverso, tipo... una Coca-Cola?
— Avvelenare? Questo champagne è avvelenato? — sbottò Deloffre.
— Certo che è avvelenato! — quasi urlò Sartou. — Come la bottiglia di sidro che le ho dato la settimana scorsa, e che lei... lei... cosa ne ha fatto Deloffre? L’ha regalata ai suoi padroni di casa?
— Non capisco di cosa sta parlando, Sartou! Io nemmeno l’ho vista, quella bottiglia. E quando me l’avrebbe regalata?
— Sono venuto a portargliela. Ma lei non era in casa.
— Sarò stato al mercato.
— La porta era aperta...
— La lascio sempre aperta...
— Così l’ho aspettata per una mezz’ora, ma poiché non tornava... le ho lasciato la bottiglia sul tavolo... L’ho anche scartata, per invogliarla ad assaggiare subito quel sidro di ottima marca. Ma lei, Deloffre, a quanto pare, non può fare a meno di complicarsi la vita, eh! E ora beva, presto!
— Ma perché?
— Niente domande! E bevi anche tu, ragazzino!
— E poi? Una volta che ci avrà avvelenati, cosa spera di ottenere? — gli domandò Lalou.
— Non ti riguarda, ragazzino.
— Invece le conviene pensarci molto bene, chiunque lei... I baffi!
Sartou si toccò i baffi.
— Lei è il misterioso postino con i baffi! Ora capisco!
— Bevi!
— I miei amici stanno arrivando. Anzi, saranno già qui, ormai.
— Nessuno mi ha visto salire...
— Questa volta non uscirà di qui senza essere visto!
— E ho parcheggiato il furgone lontano...
— Non li sente questi passi su per le scale?
— Smettila! — esclamò Sartou minacciandolo con la pistola.
— Io li sento! — esclamò Deloffre. In effetti, si sentivano dei passi concitati.
— È in trappola!
Sartou fece per sparare, ma Deloffre fu più veloce di lui. Gettò a terra il bicchiere, frantumandolo, e scartò di lato attirando su di sé la pistola.
— Non mi sfuggirà, Deloffre!
Il colpo echeggiò violentissimo. Una porzione dell’intonaco alle spalle di Deloffre si staccò dal muro.
— Vigliacco!
— Lasciami!
I due uomini caddero sul tavolo, poi rotolarono per terra. La porta d’ingresso si spalancò di colpo.
— Deloffre!
— Sartou!
— Andate via, presto! — gridò Lalou. — Ha una pistola!
— Fabò, non entrare!
— Via, Annette!
— Avvocato Janvier!
Nella cucina, intanto, Sartou e Deloffre continuavano a lottare. La pistola rotolò sul pavimento. Una mano con un fazzoletto bianco la afferrò e la tenne sollevata.
— Fermi! — tuonò la voce dell’ex principe del foro.
— Faccia attenzione, è carica! — gemette Deloffre, tenendosi un labbro dolorante.
— E lei chi diavolo è? — grugnì invece Sartou.
— Questo non la deve interessare. Non si azzardi a fare neppure un movimento. Mi creda, so bene come si usa questo gingillo. Deloffre, venga qui!
Titubante, il bretone si avvicinò. — Mi vuole ammazzare anche lei?
L’avvocato Janvier gli consegnò la pistola. — Tenga. Crede di poterlo tenere a bada per alcuni minuti?
— Come dice...?
— Le sente queste sirene? —. Nella stanza si udì il lontano rumore di sirene in avvicinamento.
— La polizia! — ringhiò Sartou.
— Io non ci capisco niente... — disse Deloffre. — Chi ha chiamato la polizia? Chi è lei? E perché il signor Sartou vuole avvelenarmi?
Quando arriveranno i poliziotti, dica loro di analizzare lo champagne... — sorrise Janvier. — Se siamo fortunati, troveranno acido prussico, lo stesso contenuto nella bottiglia di sidro. E poi chieda di vedere la sua firma sul testamento della contessa Blumier.
— La mia firma? Sul testamento della contessa Blumier? Ma io non ho mai fatto nessuna firma sul testamento della contessa Blumier! —. Deloffre era a dir poco disorientato. Le sirene della polizia si avvicinavano.
Con la coda dell’occhio, l’avvocato Janvier vide che Annette, Fabò e Lalou gli facevano cenno dalla porta di venire via. — Per l’appunto, signor Deloffre. Per l’appunto!
— Ma chi diavolo è lei? — esclamò ancora Sartou, prima di essere messo a tacere da Deloffre.
— Oh, nessuno, vecchio mio... nessuno! Io sono solo... —. L’avvocato Janvier stava per aggiungere: «Solo un investigatore dilettante!», ma gli venne un’altra idea. — Sono solo... King Ellerton.
— King Ellerton? — sbottò Deloffre ricordandosi di alcune pubblicazioni che erano passate anche per la sua tipografia. — Ma King Ellerton non è un personaggio di...?
Le sirene erano arrivate in rue Charlot: la loro luce intermittente entrava dalle finestre dell’appartamento.
Deloffre si guardò alle spalle. Ma sia il misterioso signore distinto che aveva detto di chiamarsi King Ellerton sia il ragazzino di colore che l’aveva preceduto erano spariti.